mercoledì 18 luglio 2012

Favola Minimale della Testa di Cavallo

C'era una volta il principe Orobas. Stanco di starsene sempre all'Inferno, con le sue venti legioni di demoni, andò a brucare l'erba dei vivi, con la sua bella testa d'equino sul collo.
I vivi facevano ridere Orobas, la sua bocca di cavallo scoppiava in nitriti simili a pianto, vedendoli. A Orobas piaceva osservarli nelle congiure e cambiare il suo aspetto per aiutarli o per osservare soltanto, nascosto. 
Un giorno quattordici cospiratori misero in atto la loro congiura. Erano giovani, validi e forti, a Orobas piaceva spiarli, rosicchiando le immagini sacre a cui eran devoti coi suoi piatti denti d'equino. I suoi liquidi occhi di bestia non si stancavano mai di guardare i quattordici pianificare, pianificare. Temeva che diventassero vecchi, a furia di fare progetti. Congiuravano per conquistare un gran regno, uccidendo una volta per tutte l'anziano re e la regina.
Ma erano giovani e i progetti, per loro, erano solo progetti, pensieri prima d'agire. Non fantasie. Lo fecero, dunque.
Orobas aiutò uno ad uno i quattordici, li aiutò ad entrare non visti dentro la chiesa dalle alte volte, tese veli d'ombra a nasconderli tutti, nascose daghe affilate sotto le panche per loro. Poi tenne messa assumendo l'aspetto di un prete. Ogni tanto nitriva ma tanto nessuno comprende le lingue in cui il sacro racconta di sé, quindi nessuno si accorse, anche se il sacro era dèmone, quella mattina. 
I congiurati non presero ostie, quel giorno. Si alzarono e fecero strage. E a loro volta vennero uccisi. Alcuni lasciando la chiesa, alcuni da guardie appostate all'esterno, altri dal popolo stesso, altri sbranati da cani da guardia, altri soltanto inciampando. Ma nessuno di loro, al tramonto, era vivo.
E così Orobas prese con sé i congiurati, tutti e quattordici, tutti con sé nell'Inferno profondo. Era triste perché, più di loro, avrebbe voluto portare con sé il re e la regina, ma non aveva potuto. I re e le regine appartengono agli angeli, così aveva detto il suo superiore, colui che regna su tutte le mosche e gli esseri immondi. E Orobas cavallo sbuffava di rabbia, sapendo però che presto sarebbe tornato a giocare.
Alle sue spalle i quattordici già congiuravano contro di lui.


C. Grigio

lunedì 16 luglio 2012

Summer on a solitary beach

Se avessi solo la forza di scrivere
tutto quello che penso.
Se avessi occhi tristi ma cuore annaffiato, di tanto in tanto.
Allora forse sarei più, felice. Chissà.
Se poi esiste questa felicità.

venerdì 13 luglio 2012

hemeroca...caniente, hemerosaudade.

Hemerocalle non è hemerocalle da un po'. Qui nessuno - tranne un raro esempio - sembra più essere nessuno da parecchio.
è difficile essere una banda della tisana perché prima o poi la tisana ti finisce e allora poco si combina. 
è difficile essere una banda se nessuno suona.
è che si corre.
è che si lavora.
e quando si lavora hai poco da suonare.
è che sono momenti, ma poi torna la banda, torna la tisana, torna tutto.
è che - invece - quando manca la tisana e la banda non si vede, a volte, pensi, ... vorresti farti un sorso di tisana.
proprio adesso che manca.
vorresti stare nella banda.
proprio in questo momento.
vorresti uno strappo tra scadenze e doveri e pensi che non sarebbe male una pausa, adesso.


ti prende la saudade, hemerosaudade, che poi un po' forse ti prende tutti i giorni, e ritrovi una mail che avevi scritto prima di essere hemerocalle, e la rileggi ora che hemerocalle non sei tanto più.
la mail diceva pressapoco, anzi, diceva esattamente così:


era un mattino di aprile, confuso. 
si svegliò, trovandosi nel letto ma con forme mutate: non era più un aspirante giovane scrittore ma un baco da seta.
bacato, per giunta. 
si guardò allo specchio, poi lo aprì: ci trovò dentro Gerry col suo profilo pronunciato e due piatti sporchi di zabaione, addentò una fetta di torta di mele, ma le rimase un finocchio gratinato nella ferraglia dell'apparecchio, sorrise - da baco - e si chiese: pecché?

pecché sono diventata un baco dopo aver mangiato come un cinghiale grufolante e non peso invece come un elefante? pecché?

trascinando i pensieri setolosi da cinghiale si avvolse in una sciarpa di seta - ché il baco è notorio sia da seta - e si incamminò per strada, trascinando le sue forme bacate e pacate tra un ciottolo e l'altro. giunse al lago, si nascose dietro una carta d'argento e poi sentì uno strano odore: era vomito.
qualcuno aveva vomitato sulle rive del lago, e lei-baco c'era finita dentro.
si scrollò di dosso quella sostanza maleodorante e da un colore improbabile di cioccolato e mirtilli e si buttò nell'acqua per togliersi gli ultimi residui che erano rimasti attaccati alla sua sciarpa di seta.
di baco, da seta.
l'acqua pure bevve, aveva sete.
ma non si dissetò, anzi ne uscì disgustata ma non più bacata, non più baco. ne uscì Maestro, con un occhio dorato e uno annerito: quell'esperienza le aveva cambiato la vita, e forse ad essere scrupolosi anche il sesso.
Il maestro addentò una pizza che all'uopo un pizzaiolo nerboruto aveva appena sfornato da un albero di quelli lì sulla riva e sazio e fiero e bello e scultoreo si incamminò ancora, dirigendosi verso il bar Gonzaga cantando anouonouei 
al Gonzaga, dopo aver salutato il cameriere dai lineamenti femminei, il Maestro decise di tornare donna e chiedergli il numero di telefono ma si ritrovò solo un ovetto di cioccolato che si sciolse in una strana coloratissima, forse di pessimo gusto, borsaccia da zecca.
delusa, la donna. che fu maestro, che fu baco, che fu prima donna, tornò al lago. e si buttò nelle acque.
nuotò.
uscì da una porta di ferro e ruggine, con una strana insegna sopra.
si specchiò in una telecamera di sorveglianza e si vide nota musicale.
si posò su una panchina esausta e trovò un gancio seduto. il gancio dalle forme dubbiose le chiese: ohibò e tu da dove vieni?
dal lago, da dove se no?
io vengo da una salita ciclistica. ohibò. son stanco. son perso.
son stonata, io.
son dubbioso io.

erano noiosi, a dire il vero. e il gioco andava troppo per lunghe, così un baco - vero - che passava da quelle parti prese un palloncino e decise di darci un taglio, dopo aver stilato questa lista:
sente molto la mancanza della banda della tisana; dei ciottoli di mantova; del bagno con sottofondo musicale proveniente dall'accademia virgiliana; della torta di mele con zabaione dello stomp e della parmigiana; delle scale di legno cado-non cado; dell'imbarazzante rumore dei succhi gastrici a lezione; delle zanzare uccise da editor, scrittori, compagni della tisana; dei lombrichi giganti del lago, delle uova di cioccolato al lago, dei cigni giganti umani al lago: del lago; dell'apertura del cancello del residence; della puzza della sera delle fabbriche; dei racconti della bologna di cesare... 

ma un'altra trasferta, no? come scrisse qualcuno: "pecché?" 
e mo' basta, eh. a lavoro. si torna a lavoro.
 

e il baco tagliò il filo luminescente di perchédecorato (con cui si fa stoffa pregiata di dubbio gusto, però) e lasciò cadere il palloncino.

l'acqua cancellò la nota.
e il gancio interrogativo.

un petardo scoppiò lontano.
era un bambino con gli occhiali con la plastichina bianca, sorrise.

e una bambina mai nata respirò.


e tutto finì e un editor con l'apparecchio guardingo attraversò la strada e qualcuno gli travolse la suocera.


Vi abbraccio forte,
T.


martedì 3 luglio 2012

Memorie di una bevitrice di Estathè #13

Ho un'amica che si chiama Tejera, pelle dorata con decorazioni egiziane, molto spesso usata per contenere çai (mai karkadé), che è appena partita per un altro dei suoi viaggi di un mese che poi solo di un mese non sono.
No, Tejera non è un'amica immaginaria.
Tejera è una portatrice (in)sana di thé, è viva e lotta insieme a noi.
(In realtà questo post è dedicato a lei con un mero senso utilitaristico, poiché è venuta a salutarmi prima della partenza abbracciata a due bottiglie di Estathè. Già mi manchi, amica.)

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo.
Ehi tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo”.

Onironauticamenthè
E' arrivato un caldo che fa sudare pure i gomiti, pure gli occhi, pure le parole; quindi ce ne stiamo tutti zitti zitti, alla ricerca disperata di un riparo occasionale negli spruzzi d'ombra di ogni tipo: alberi, balconi, giganti dalle pettinature afro, perfino pali della luce.
Una situazione surreale.
Ho visto un bambino farsi ombra sugli occhi con il gelato, per guardare la vetrina di un negozio di giocattoli, mentre sua madre leccava il cono per non farlo sporcare ed era prospetticamente sistemata dietro lo spazio di competenza di un orso gigante, posizionato all'ingresso del negozio di giocattoli, che gettava una tenue oscurità sui piedi della signora, per evitare che sudassero. Almeno quelli.
Siccome ero lì, ho fatto un po' di ombra all'orso (mutua assistenza urbana), mentre guardavo quella matrioska di famiglia accaldata (e accalcata). 
Quando lui mi ha ringraziata, ho capito che c'era qualcosa che non andava e che quasi sicuramente stavo sognando.
Ho appena imparato cosa sia l'onironautica, grazie ad un libro prestato da un'amica che non è una teiera (e che purtroppo beve caffè freddo -e vabbè, che dobbiamo fare...-), quindi mi sono messa subito all'opera ed ho seguito le regole per capire se fossi all'interno di un sogno lucido.
Mi sono specchiata nella vetrina: ero deformata.
Ho chiesto l'orario ad un passante per due volte di seguito e alla prima ha detto: “Sono le due”, mentre alla seconda ha detto: “Vaffanculo” (per il sogno lucido, devi avere due risposte diverse: ci siamo).
Ho letto la temperatura su un display. Trentacinque fottutissimi gradi e subito dopo trentasette fottutissimi gradi.
E' fatta: sto sognando.
Posso fare ciò che voglio.
Christopher Nolan: a noi!

Ma che vuoi?”
Sei Christopher Nolan?”
No, so' tu nonno in carriola...”

Non ci siamo. Devo essere io alla guida di questo sogno: adesso abbasso la temperatura, congelo il gelato del bambino, mi alzo in volo e vado a fare due chiacchiere con quelle dannate taccole assassine che fanno incetta di piccioni ululando alle quattro di notte, metto l'aria condizionata su tutti i cazzo di autobus di Roma, do una messa a posto alla metro B1, elimino in maniera definitiva l'utilizzo di pantaloncini imbarazzanti e distribuisco brick di Estathé in tutti i bar di Roma.

Ah bella! Attraversi o no?”
Sei Christopher Nolan?”
Chi sso' io? Che hai detto? Guarda che io te gonfio...”
No, non hai capito! Io mi chiedevo solo se fossi il regista di...”
Il regista de che? Ma allora tu me vòi proprio fa' perde' la pazienza regazzì?”

Quando sono passata di nuovo vicino all'orso e ho visto il gelato del ragazzino squagliato sui piedi della madre, l'orso mi ha detto: “Grazie” e allora ho capito che forse mi ero sbagliata. Quindi gli ho chiesto che ore fossero e l'orso mi ha guardato perplesso prima di dire: “Grazie”. Non ero in un sogno lucido: non avrei avuto falsi risvegli, allucinazioni uditive o turbanti stati ipnopompici.
I gradi aumentano davvero a vista d'occhio; l'aria condizionata è uno stato di grazia che non ci è concesso e le taccole, se non stai attento, iniziano a girarti sopra la testa, facendo strani versi.
Nonostante la tentazione di domandare all'automobilista nervoso se avesse almeno visto 'Inception' , ho optato per entrare in un bar e chiedere un brick d'Estathè.
L'Estathè non ce l'abbiamo. Abbiamo il thé fatto da noi”, mi hanno detto, scuotendo una bottiglia di acqua Levissima piena di un liquido torbido.
Altro che onironautica, questo è un incubo ad occhi aperti.

Non ti puoi mettere contro di me, mia cara, io ho diretto 'Memento', 'Il cavaliere Oscuro' e...”
Beh, allora tu sei Christopher Nolan?”
Di certo non sono tuo nonno in carriola”
Tu hai salvato Batman. Tu hai salvato un supereroe. Tu sei un mito.”
Tu hai un'amica tejera e delle paralisi ipnagogiche. E non fai nemmeno uso di droghe.”
Non credo che mi daranno un oscar per questo.”
No, nemmeno io. Non con questo caldo, perlomeno.”

Ho abbracciato l'orso, fino a quando non mi hanno cacciato via.
Poi sono tornata a casa ed ho cercato di dormire.
Quando dormo, posso aprire un'anta dell'armadio e ritrovarmi ad Istanbul oppure sganciare la pistola di un distributore di benzina e riempirmi di Estathè oppure girare per strada a mezzogiorno senza colare come se fossi appena uscita da una doccia.
Quando dormo, è tutto più semplice.
Il mondo reale è monotono e privo di inventiva.
E poi fa sudare troppo.

Sogni d'oro.
Iris.