1. Cercare di capire quali cose possano essere realizzate prima che il mondo finisca;
2. stilare un elenco delle suddette;
3. impedire a qualsiasi essere umano di scrivere in burocratese quando il testo non lo richieda;
4. considerare sempre le dovute eccezioni;
5. concentrarsi sull'elenco;
6. pensare che suddetto elenco - vedi punto 4 - possa, in realtà, avere una certa utilità nel caso in cui il mondo - suddetto mondo - non finisca ma subisca una certa riduzione;
7. auspicare che non si tratti di una riduzione ai minimi termini;
8. trovare le cose positive di questo suddetto - e detto anche sotto - mondo e pensare di salvarle prima che il mondo finisca;
9. porre fine a scempi di ogni tipo;
10. Insegnare, per esempio, a Silvio Berlusconi a dire la parola "tecnico", quindi insegnare a suddetto - difiancodetto - Silvio Berlusconi a pronunciare il gruppo consonantico -cn- evitandone la realizzazione in assimilazione consonantica. Oppure fargli notare che la forma teNNico tende a connotarlo o come vecchio - si sente vecchio, lei, Silvio? - o come macchietta - si sente macchieta, lei, Silvio? - teNNIcamente, parlando.
O così. potrebbe sembrare, perché chi scrive su questo blog non ha nessuna competenza in materia.
Sono cose teNNiche.
11. il punto dieci risulta - in fieri - punto primo delle cose da fare prima che il mondo finisca.
Esempio.
Ascoltare attentamente la pronuncia della parola 'tecnico' di Silvio Berlusconi, qui resa faticosamente:
http://www.youtube.com/watch?v=yPZBjk13_DQ&feature=relmfu
ps si veda a tal proposito: http://www.accademiadellacrusca.it/faq/faq_risp.php?id=8683&ctg_id=44
questo blog ringrazia SB per la partecipazione.
mercoledì 31 ottobre 2012
martedì 23 ottobre 2012
Memorie di una bevitrice di Estathè #17
La
gente smette di fare un sacco di cose, continuamente. La gente smette
di mangiare, di bere, di fumare, di dormire, di chiamare, di lavare i
vetri, di leggere il giornale, di buttare le gomme per terra. Con un
po' di buona volontà si può smettere di fare qualsiasi cosa. Basta
impegnarsi.
Questo
pensiero continua ad essere anche per voi, cari amici piccioni.
Se avessi potuto
scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo.
“Ehi
tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi
una voce fuoricampo”.
Diethè
Tredici
anni fa, ho smesso di suonare la batteria. Non che la suonassi da
tanto tempo né che fossi questo granché, ma la suonavo e ho smesso
per un problema caratteriale che diventava stilistico al cospetto
delle varie pelli da percuotere: ero troppo gentile con i tom,
chiedevo perdono al rullante per averlo picchiato troppo forte e
correvo a scrivere lettere di scuse ai miei vicini per il riverbero
dei piatti.
Era uno strumento che non faceva per me, quindi ho
smesso.
Ho
suonato anche nella banda del mio paese, con le mostrine e il
cappello, ma soprattutto con Oris qualche fila più avanti che si
esibiva con un sax soprano, ancora più piccolo di lei, e con un
frangia talmente gonfia che sarebbe potuta decollare.
Ma
non siamo rimaste musiciste. Non eravamo portate.
Me
ne ero accorta già ai tempi, ma l'ho rispolverato quando mi sono
rimessa dietro ad una batteria, pochi giorni fa, e ho suonato un
quattro quarti che nemmeno la più scolastica delle rigidone: non
sono riuscita a non pensare al fatto che 4/4 equivalga ad un'unità e non sono riuscita ad accettare di non saper suonare un tempo dispari.
“Se
fosse stata più consapevole dei rischi a cui andava incontro, lei
avrebbe accettato di cambiare regime...”
“Una voce fuoricampo con la erre moscia non l'accetto...”
“Sono
Pierre Dukan, mi devi accettare per forza perché io sono il maestro
dell'accettazione...”
“Nel
senso di sbozzatura? Accettatura? Taglio di scure? Modellazione con
alabarda?”
“No,
non senso di dieta.”
“Pensi
che io debba dimagrire?”
“No,
penso che tu debba smettere di bere Estathè.”
Su
quella frase, orde di proteine hanno rullato di felicità, cortei di
carboidrati hanno manifestato in piazza e cesti di frutta e verdura
hanno perseverato a pensare solo al loro orticello. Non ci sono
quattro quarti nell'alimentazione, non c'è unità, né in tempi pari
né in tempi dispari.
“Senti,
Pierre, a parte che la Dukan è stata tacciata di qualunque cosa,
anche di procurare l'aumento di rischio di cancro al colon retto; ma
posso, secondo te, prendere sul serio l'opinione di un uomo che
divide la sua dieta in periodi, di cui il secondo si chiama
crociera?”
“Tu
devi prendere sul serio la mia opinione perché io ho aiutato un
sacco di gente ad essere felice...”
“E
sei stato pure radiato dall'albo dei medici”
“E'
stata tutta colpa dei carboidrati e delle loro lotte in piazza. I
carboidrati sono dei facinorosi!”
“Comunque,
tu e la tua erre moscia state perdendo il vostro tempo qui: è più
probabile che io ricominci a suonare la batteria in duo con il mio
amico Manganese piuttosto che smetta di bere Estathè”
“Non
si deve mai ricominciare a fare niente dopo il consolidamento
raggiunto: si chiama stabilizzazione. Nella vita, si deve solo
smettere di fare le cose, mai ricominciare. E poi non fidarti del
manganese, il manganese puro è tossico”
“Certo,
fidiamoci solo delle proteine: i succulenti pezzi di carne sono
sempre destinati al successo...”
“E'
sarcasmo questo?”
“No,
è ora che te ne vai!”
Nella
mia vita, ho smesso di fare un sacco di cose: ho smesso di bere il
caffè, di seguire il calcio, di mettere i libri in ordine alfabetico
e di mangiare le patate dolci; ma ho anche ricominciato a fare un
sacco di cose: ho ricominciato a mangiare il formaggio, ad andare sui
pattini, a guardare Sanremo e a scrivere a mano.
Conto
di smettere e ricominciare ancora miliardi di affari, ma nessuno di questi ha
a che fare con l'Estathè, anche se lo so che è un chimicone pieno
di zuccheri che non fa bene al mio organismo.
La
vita di tutti quelli che conosco è piena zeppa di dipendenze che non
sono risolvibili a colpi di rinunce forzate, di proteine o di
letteratura (sì, sto pensando a Jonathan Safran Foer). La vita di
tutti quelli che conosco è in esubero di massa, ma ognuno di noi si
tiene strette le sue peculiarità come se fossero doni.
E'
tutta colpa della forza gravitazionale.
La
massa è solo una povera proprietà intrinseca, come l'Estathè.
E'
la forza gravitazionale che la fa diventare pesante come piombo.
Sulla
luna, le nostre dipendenze peserebbero meno.
Sulla
luna, io sarei una gran batterista.
Peccato
non vendano Estathè, altrimenti, mostrine e cappello, sarei già
lassù.
Iris.
lunedì 22 ottobre 2012
guerre di logoramento in fila al supermercato
l'infelicità degli altri ci farà passare delle dolci notti, appostati a rubare rabbia agli angoli delle strade. bevo le tue parole sul dilaniamento dell'anima perché non ho niente di meglio da fare la sera. abbiamo letto i prezzi dei ristoranti della cosa giusta, delle battute tristi (a conferma dell'impossibilità di un dio), del buon gusto per il cattivo gusto dei silenzi in cene costose dei giorni delle tradizioni da rispettare delle voci da bambini che saremo sempre senza esserlo stati mai.
urliamo fino a squarciarci la gola, ma i vetri del ristorante non si scomodano neanche a tremare. non ci resta che chiedere mogi l'elemosina all'uscita. cercherò nei tuoi occhi a spillo le risposte e mi illuderò come tutti gli altri illusi che il nostro sia un a***e di chewingum. non degradabile. per vincere la fame. mi attaccherò con i pugni alla felpa che non lavi da giorni raggruppati in settimane per non lasciarti andare in guerra. senza di me. ti inonderò di informazioni inutili perché è quello che sta scritto nei miei manuali americani. che non era tanto per dolore quanto per sconfiggere gli inviti per uno.
una volta ho percepito il disagio per le canzoni tristi e ho pensato che cambiare paese non sarebbe stato abbastanza.
urliamo fino a squarciarci la gola, ma i vetri del ristorante non si scomodano neanche a tremare. non ci resta che chiedere mogi l'elemosina all'uscita. cercherò nei tuoi occhi a spillo le risposte e mi illuderò come tutti gli altri illusi che il nostro sia un a***e di chewingum. non degradabile. per vincere la fame. mi attaccherò con i pugni alla felpa che non lavi da giorni raggruppati in settimane per non lasciarti andare in guerra. senza di me. ti inonderò di informazioni inutili perché è quello che sta scritto nei miei manuali americani. che non era tanto per dolore quanto per sconfiggere gli inviti per uno.
una volta ho percepito il disagio per le canzoni tristi e ho pensato che cambiare paese non sarebbe stato abbastanza.
martedì 9 ottobre 2012
Memorie di una bevitrice di Estathè #16
Nella
mia casa vecchia, avevo un cassettone per la serranda che era la sala
da ballo privata di un paio di rondini. Loro erano la mia sventura e
il mio orgoglio, visto che avevano una vita sociale da far invidia,
che si protraeva tra pigolii e zampettate fino all'alba, impedendomi
di dormire.
Nella
mia casa nuova, non ho serrande, ma ho i piccioni. Stramaledettissimi
piccioni.
Se avessi potuto
scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo.
“Ehi
tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi
una voce fuoricampo”.
Essere John
Fruscianthè
L'altro
giorno ero sul balcone della mia cucina con Pezzetta, il mio
coinquilino igienista, a studiare metodi per non ospitare più i
piccioni o, per lo meno, per convincerli a pagare l'affitto. Avevamo
appena finito di posizionare girelle, buste di plastica, chiodi, cd
di Povia e una riproduzione di un gufo reale (loro acerrimo nemico),
quando Oris mi ha chiamato da sotto la doccia perché aveva paura di
affogare dopo aver sganciato la porta di vetro del box, facendola
uscire fuori binario.
Ancora
mi chiedo come abbia fatto, visto che Oris è alta quanto lo
sportello del pensile basso dalla cucina, ma fatto sta che, in quel
momento di pericolo e umidità, i suoi capelli erano come quelli di
Lotte, la moglie animalista del burattinaio Craig Schwartz.
L'ho
attaccata subito, parlando della differenza tra un sistema numerico
posizionale in base 2 e il binario 9 e ¾ della stazione londinese di
King's Cross, motivando le mie scelte antivolatili con la manfrina
del libero arbitrio. Spaventata dalla mia foga, Oris si è messa a
correre verso lo sportello del pensile basso della cucina, quello in
cui conservo le mie scorte di Estathé e ci si è nascosta dentro.
Dopo
un minuto, una voce ha invaso la stanza.
“Sono
Jack Frusciante”, ha detto.
“Jack?
Ma non ti chiamavi John?”
“John
Frusciante, sì. Infatti volevo dire che sono Jack White”
“Si,
ma pure Jack White in realtà si chiamava John.”
“Allora
sono Jack Black.”
“Pure
quello è un nome d'arte”
“Iris,
lo sai che scassacazzi come te ne ho conosciute poche? E lo sai che
pure Iris è uno pseudonimo di merda?”
“A
parte il turpiloquio, senti Jack Daniels, ho un problema con i
piccioni...”
“E
con la merda dei suddetti.”
“Già,
ma vorrei che la chiamassi guano.”
Abbiamo
scoperto che se ti infili nel pensile basso della cucina, bevi un
bicchiere di Estathè di straforo e senti una canzone dei Nirvana al
contrario, entri nella testa di chi vuoi per 15 minuti. Siccome Oris
è una grande comunicatrice, l'abbiamo convinta a entrare nella testa
di un piccione e a parlare a tutti gli altri di un progetto web in
crescita: smetteredicacare.com
(a cura di un certo
Bob UkuLele, genio sconosciuto ai più).
Il
comunicato stampa parla di metamedicina e possessività e di come la
stipsi possa essere un metodo di forza e di accumulazione per
combattere l'odierna valanga di informazioni inutili e non richieste
che, molto spesso, fa più danni del guano.
“Però
non dite guano, dite merda”, c'ha suggerito John Holmes
collegandosi con un jack.
“Con
i vostri modi gentili ed educati, mi avete fatto schiattare due anni
fa, senza un goccio di concime”.
John
Holmes era il mio olmo bonsai e la sua voce torna a trovarmi solo
raramente, perché lui è stato uno dei miei errori più grandi: un
ossimoro imperdonabile.
Alla
fine della giornata, i capelli di Oris erano vaporosissimi e la sua
eccitazione in seguito alle ingenti quantità di Estathè bevuto era
incalcolabile.
Io
e Pezzetta abbiamo ricamato una maglietta con l'indirizzo internet
del sito e l'abbiamo fatta indossare al gufo reale, ma non sappiamo
se tutto questo basterà.
In
compenso ci sentiamo sempre in bilico tra un film di Hitchcock e una
centrale energetica a biomasse.
“Il
guano è una risorsa”, ci ha detto Lotte mentre giocavamo a blackjack.
Quindi l'abbiamo infilata nel pensile degli Estathè.
Perché
quello, invece, sì che è una risorsa.
Sempre
vostra,
Iris.
mercoledì 3 ottobre 2012
Memorie di una bevitrice di Estathè #15
Questo
post è un post commemorativo: i Maya non si erano sbagliati più di
tanto sulla fine del mondo. Nell'ottobre del 2012 infatti, casa
Nardini ha smesso di esistere. Tanti importanti pezzi si erano già
persi per strada, altri avevano ritrovato la via di casa, ma adesso,
ufficialmente, è finita.
Il
regno di Iris e Oris, perlomeno, ha concluso il suo mandato.
In
questo post saranno presenti nomi e indirizzi.
Non
provate a mentire sulle omonimie: eravate proprio voi.
Se avessi potuto
scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo.
“Ehi
tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi
una voce fuoricampo”.
Posso bere un po' di
Estathè? No, non puoi.
Se
potessi, farei un albero genealogico, una planimetria botanica della
casa, un disegno da economista, con le entrate e le uscite, con i
bilanci delle persone ospitate e viste, convissute e amate, provate e
odiate. Se potessi, non farei passare il tempo che purtroppo è già
passato, quello che ci divide dalle feste estive sul terrazzo della
vicina, dalle cene di Natale con le palle dell'albero personalizzate,
dalle partite di Risiko e dalle puntate di Sex&The city su La7d.
Se
avessi potuto, avrei rubato gli occhi del finto di Modigliani del
salotto, messo su uno di quei muri che se solo potessero parlare...
“Posso
bere un goccio d'Estathè?”
“Dipende.”
“Da
cosa?”
“Senti
di avere con Iris un rapporto di quel tipo? Sei sicuro che togliendo
quel goccio la lascerai con un bicchiere di sicurezza? Potresti
giurare di saper usare bene il punto e virgola?”
Casa
Nardini è una casa nei dintorni di piazza Bologna. E' il
pianerottolo di un attico, condiviso da due famiglie che sono sempre
state una sola casa, con Decio, India e Sophie come dirimpettaie, una
cosa che quando guardavi Friends
negli anni '90 ti dicevi “Magari capitasse anche me” e poi è
successa.
Casa
Nardini, di partenza, è una casa di cinque persone, escluse le
vicine, che però non si è mai banalmente fermata a cinque e chi non
c'ha dormito nemmeno una volta, alzi la mano.
Olga,
Elisa, Martina, Roberta e Patrizia. Via Patrizia e dentro Jon. Via
Jon e dentro Matteo. Via Roberta e dentro Eleonora. Via Martina e
dentro Francesca. Via Matteo e dentro Renato. Via Francesca e dentro
David. Via David e dentro Federico. Via Federico e dentro Aldo. Via
Eleonora e dentro di nuovo Federico. E poi tana libera tutti.
In
nove anni, quattordici coinquilini in tutto, esponenzialmente elevati
ad un certo quantitativo di amici ciascuno, che aumentati dagli amici
di Decio e dagli amici degli amici di Decio e di tutti, diventano un
numero incontenibile di persone che sono state ospitate, sfamate,
abbigliate e pettinate in quella casa.
“Posso
bere un goccio d'Estathè?”
“Dipende.”
“Da
cosa?”
“Rifai
sempre il letto quando ti svegli la mattina? Hai mai pensato che fare
le sciarpe sia un buon metodo antistress? Sei pronto a condividere
una coppa d'amarezza mentre sei seduto sotto il manifesto di
Amarcord?”
Sono
tre giorni che vivo in una casa nuova, senza essere nemmeno certa del
quartiere in cui sto. Non ho girato molto, mi sono solo assicurata,
in una passeggiata mattutina con un amico che è una consolante
consonante, che c'è un posto in cui posso comprare l'Estathè.
Abbiamo
bucato i brick, fermi ad un semaforo, per festeggiare.
Sono
innumerevoli le cose che mi mancheranno di Casa Nardini e sono
ingestibili tutti i ricordi che mi legano a quel posto. Ricordi e
cose che sono persone, eventi, risate, festeggiamenti, febbri, esami,
litigi, tagliatelle al ragù di cinghiale, amari del capo, lavatrici
in panne, bicchieri rotti, tovaglie, sveglie, scampanellate, pianti,
cani, sedie e tagli di capelli. Nove anni sono tanti davvero.
“Posso
bere un po' di Estathè?”
“No,
non puoi.”
“E
perché?”
“Non
ce n'è più nemmeno un goccio...”
Ebbene sì, le cose finiscono.
Finiscono le stagioni, gli amori, i biscotti e le bottiglie di Estathè.
Spero
che i nuovi inquilini non bevano thè deteinato.
E
spero che dall'altra parte del mio nuovo pianerottolo ci sia una casa
di Bruxelles.
Tristemente
in transito,
Iris.
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