Nella
mia casa vecchia, avevo un cassettone per la serranda che era la sala
da ballo privata di un paio di rondini. Loro erano la mia sventura e
il mio orgoglio, visto che avevano una vita sociale da far invidia,
che si protraeva tra pigolii e zampettate fino all'alba, impedendomi
di dormire.
Nella
mia casa nuova, non ho serrande, ma ho i piccioni. Stramaledettissimi
piccioni.
Se avessi potuto
scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo.
“Ehi
tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi
una voce fuoricampo”.
Essere John
Fruscianthè
L'altro
giorno ero sul balcone della mia cucina con Pezzetta, il mio
coinquilino igienista, a studiare metodi per non ospitare più i
piccioni o, per lo meno, per convincerli a pagare l'affitto. Avevamo
appena finito di posizionare girelle, buste di plastica, chiodi, cd
di Povia e una riproduzione di un gufo reale (loro acerrimo nemico),
quando Oris mi ha chiamato da sotto la doccia perché aveva paura di
affogare dopo aver sganciato la porta di vetro del box, facendola
uscire fuori binario.
Ancora
mi chiedo come abbia fatto, visto che Oris è alta quanto lo
sportello del pensile basso dalla cucina, ma fatto sta che, in quel
momento di pericolo e umidità, i suoi capelli erano come quelli di
Lotte, la moglie animalista del burattinaio Craig Schwartz.
L'ho
attaccata subito, parlando della differenza tra un sistema numerico
posizionale in base 2 e il binario 9 e ¾ della stazione londinese di
King's Cross, motivando le mie scelte antivolatili con la manfrina
del libero arbitrio. Spaventata dalla mia foga, Oris si è messa a
correre verso lo sportello del pensile basso della cucina, quello in
cui conservo le mie scorte di Estathé e ci si è nascosta dentro.
Dopo
un minuto, una voce ha invaso la stanza.
“Sono
Jack Frusciante”, ha detto.
“Jack?
Ma non ti chiamavi John?”
“John
Frusciante, sì. Infatti volevo dire che sono Jack White”
“Si,
ma pure Jack White in realtà si chiamava John.”
“Allora
sono Jack Black.”
“Pure
quello è un nome d'arte”
“Iris,
lo sai che scassacazzi come te ne ho conosciute poche? E lo sai che
pure Iris è uno pseudonimo di merda?”
“A
parte il turpiloquio, senti Jack Daniels, ho un problema con i
piccioni...”
“E
con la merda dei suddetti.”
“Già,
ma vorrei che la chiamassi guano.”
Abbiamo
scoperto che se ti infili nel pensile basso della cucina, bevi un
bicchiere di Estathè di straforo e senti una canzone dei Nirvana al
contrario, entri nella testa di chi vuoi per 15 minuti. Siccome Oris
è una grande comunicatrice, l'abbiamo convinta a entrare nella testa
di un piccione e a parlare a tutti gli altri di un progetto web in
crescita: smetteredicacare.com
(a cura di un certo
Bob UkuLele, genio sconosciuto ai più).
Il
comunicato stampa parla di metamedicina e possessività e di come la
stipsi possa essere un metodo di forza e di accumulazione per
combattere l'odierna valanga di informazioni inutili e non richieste
che, molto spesso, fa più danni del guano.
“Però
non dite guano, dite merda”, c'ha suggerito John Holmes
collegandosi con un jack.
“Con
i vostri modi gentili ed educati, mi avete fatto schiattare due anni
fa, senza un goccio di concime”.
John
Holmes era il mio olmo bonsai e la sua voce torna a trovarmi solo
raramente, perché lui è stato uno dei miei errori più grandi: un
ossimoro imperdonabile.
Alla
fine della giornata, i capelli di Oris erano vaporosissimi e la sua
eccitazione in seguito alle ingenti quantità di Estathè bevuto era
incalcolabile.
Io
e Pezzetta abbiamo ricamato una maglietta con l'indirizzo internet
del sito e l'abbiamo fatta indossare al gufo reale, ma non sappiamo
se tutto questo basterà.
In
compenso ci sentiamo sempre in bilico tra un film di Hitchcock e una
centrale energetica a biomasse.
“Il
guano è una risorsa”, ci ha detto Lotte mentre giocavamo a blackjack.
Quindi l'abbiamo infilata nel pensile degli Estathè.
Perché
quello, invece, sì che è una risorsa.
Sempre
vostra,
Iris.
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