Ve
la ricordate la foto di Coppi e Bartali che si passavano la borraccia
in salita, sotto il caldo torrido di una gara in bianco e nero? Beh,
nella mia interpretazione sentimentale dei fatti, quella borraccia
conteneva Estathè. Certo, ci sarebbero voluti ancora vent'anni prima
che l'Estathè fosse lanciato sul mercato, ma mi piace pensare che
quel gesto di unione contenesse teina.
Se avessi potuto
scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo.
“Ehi
tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi
una voce fuoricampo”.
O' Trerrothè
Il ciclismo mi fa
venire caldo, mi ricorda mio padre in canottiera, relegato in camera
a guardare la fatica dei corridori in televisione e a sudare con loro
sul copriletto di macramè che mia madre gli diceva di spostare, ma
che lui lasciava intatto sul giaciglio: era una sacra sindone al
contrario che non raccoglieva immagini su di sé, ma te le lasciava
indelebili sul corpo.
Era il suo modo di
soffrire con gli atleti, credo.
Oppure la sua innata
pigrizia maschile.
A volte, io guardavo le
gare con lui: mi sedevo per terra, facendomi spazio tra i tappeti sul
parquet e mio padre mi fissava con sdegno, tipo a dire: “Ma che
veramente tu sposti tutta quella roba? Siediti e suda sulla fibra
indiana dello scendiletto! Devi sentire la fatica della
competizione...”.
Ma la sua era solo una
competizione con mia madre, credo.
Oppure con il suo
elegante copriletto di macramé.
Da
terra, io immaginavo il grande Pozzi
e il
famoso Girardoux di
Stefano Benni che sfidavano Claudio Chiappucci e Marco Pantani, gli
idoli di mio padre, ma il caldo mi faceva resistere poco tempo
davanti alla televisione.
Probabilmente, la mia passione per il
ciclismo sarebbe durata di più se il principe azzurro del Giro
d'Italia fosse arrivato in camera dei miei genitori, sgommando su
un'Apecar di Estathé.
“I'
port' 'o trerrote”,
avrebbe detto.
“Io
guido l'Ape Car”, avrebbe tradotto mio padre.
“'O
trerrote ra' piaggio”
“L'Ape
Car della Piaggio”
“Me
sceto 'e quatt''a matina...”
“Mi
alzo alle quattro del mattino...”
“...e
cocche vota pure''e quatt''e dieci”
“...
a volte mi sveglio più tardi.”
Mi
avrebbe caricato dietro, in bilico su un perfetta montagna di Estathè
e avremmo sfidato i promontori italici insieme, passandoci i brick
come Coppi e Bartali con la borraccia.
Ero
troppo piccola per avere la quantità giornaliera di Estathè
necessaria al mio sostentamento, quindi i miei sogni romantici
viravano più intorno a quello che alle principesse delle favole.
Ero
certa che se avessero piazzato una cannuccia di Estathè al posto del
pisello sotto i venti materassi della fiaba di Andersen, io non sarei
riuscita a dormire e, non perché fossi una vera principessa, ma
perché dove c'è una cannuccia c'è anche un brick e una
tossicodipendente non se lo lascia di certo sfuggire.
Le
fiabe e i ricordi sono a libera interpretazione.
E
la mia, quella d'O'
Trerrothé ha
una chiusura da critica sociale: l'Apecar si ribalta e si scopre che
era piena di cocomeri e non di Estathè. La principessa dei brick
abbandona il principe Tony Tammaro al suo destino e molte macchine
fanno lo stesso, rubando anche i cocomeri.
“I' port' 'o trerrote”, canta il principe disperato.
“E
mo' porto 'e stampelle”
“Ed ora sono bloccato in ospedale”
“Ma sé acchiappo 'a quillo che s'a' fottuto 'e meluni...”
“Ma se trovo l'autore del furto dei miei cocomeri...”
“... m'faccio ra''areto pure 'e scorze e sement!”
“...mi faccio restituire le bucce e i semi!”
“A' gente fanno tant''e signori...”
“La gente crede di essere per bene...”
“...e po' se fottono' 'e melun.”
“Ed ora sono bloccato in ospedale”
“Ma sé acchiappo 'a quillo che s'a' fottuto 'e meluni...”
“Ma se trovo l'autore del furto dei miei cocomeri...”
“... m'faccio ra''areto pure 'e scorze e sement!”
“...mi faccio restituire le bucce e i semi!”
“A' gente fanno tant''e signori...”
“La gente crede di essere per bene...”
“...e po' se fottono' 'e melun.”
Alla
fine della fiera, credo che sniffare l'aria scaldata delle fibre
indiane dei tappeti di mia madre mi abbia fatto avere le
allucinazione perché, una volta, sul podio del Giro d'Italia, ci ho
visto salire mio padre, avvolto nel copriletto di macramè, mentre
mia madre gli sbraitava contro dallo scalino del terzo posto e Oris
leggeva Cioè
in bilico sul gradino del secondo arrivato.
Sono
quasi certa di essermelo inventato, in una crisi di astinenza da
teina.
Diciamoci
la verità: a me l'Estathè, sponsor ufficiale del Giro d'Italia,
m'ha salvato la vita.
Altrimenti,
chissà dove sarei ad arrancare adesso...
Iris
Versicolor.
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